La guerriera e il mago
(o meglio)
la guarigione della guerriera
Ero seduta su un cavallo
pezzato, grigio e bianco, che a passo molto lento trotterellava lungo il campo tagliando
l’erba con gli zoccoli. Per non scivolare mi avvinghiavo con le mani e le
braccia al mio cavaliere. Aveva un lungo mantello. Il suo colletto alto e
rigido mi impediva di vedere che aspetto avesse. Volevo tanto che fosse il
mago, il mago di cui tutti parlavano, che viveva sul monte e raccoglieva erbe e
sassi, pietre e foglie. E se non lui, almeno un altro mago, un qualsiasi mago.
E così pensando continuai il viaggio fiduciosa di essere nelle mani giuste. Ero
stanca, tanto stanca. La mia armatura aveva buchi e graffi, l’elmo mi copriva
la fronte e il naso, mentre il resto del volto era seminascosto dall’usbergo.
Il cavallo, il
cavaliere, ed io cominciammo a inerpicarci per una ripida salita, andando su, e
più su, lentamente, dondolando. A volte barcollavamo e facevamo un passo
indietro, in equilibrio instabile sulla
groppa del cavallo pezzato che nitriva e scuoteva la criniera. Il cavaliere si fermò
e girò la testa una volta a destra e una volta a sinistra. Portava i guanti,
celando così ogni possibile segno di identificazione. Un soffio di vento mi arrivò
alle narici: odorava di mare, di onde e salsedine.
Il cavaliere mi
aveva raccolta sul campo di battaglia ed ora mi portava in salvo. Forse non era
un campo di battaglia, non avevo nessun ricordo di quello che era successo prima,
rammentavo solo di sentirmi esausta e di essere caduta o forse di essere stata
colpita alla nuca, non so.
Dopo un’ora di
cammino lungo il sentiero che si arrampicava sulla montagna cominciai a
intravedere il lustro del mare giù in fondo. Lo specchio dell’acqua rifletteva
la luce del sole nei miei occhi.
Mi addormentai
cullata dal dondolio e intorpidita dal profumo della salsedine. Quando mi
sveglia mi accorsi che restavano pochi metri per raggiungere il grande portone
di un castello con due alberi di olivo ad ogni lato. Mi aspettavo di vedere la
casetta del mago, piccola e calda. No! Un castello! Questo non era il mago.
Facevo ancora in tempo a buttarmi giù da cavallo, rotolare per il sentiero e
annegare nelle acque del mare? Volevo il mago. Un qualsiasi mago. Quello non
era un mago, era un cavaliere con cavallo e castello. Mentre la mia mente lenta
e intorpidita formulava questi pensieri il cavallo si fermò e l’albero di olivo
mi porse il braccio, così scesi e seguii il cavaliere dentro il castello. Ero
troppo stanca per suicidarmi.
Una lunga tavola imbandita per la cena ci aspettava silenziosamente. Ci
sedemmo senza parlare con gli elmi in testa, come fanno i guerrieri tornati
dalla guerra. Stavo eretta a fatica sulla poltrona di pelle con i braccioli
intarsiati d’avorio. Avrei voluto una scodella di brodo caldo, magari di
tartaruga, non è questo che mangiano i maghi? Invece sulla tavola era poggiato
un lunghissimo vassoio d’argento rettangolare con tante verdure odoranti e
fumanti di tutti i tipi: selvatiche, amarostiche, dolci. Alcune più cotte altre
meno, altre quasi croccanti. Alcune ingioiellate di mandorle, altre di aglio e
peperoncino, altre ancora di salvia e menta. Un secondo vassoio di forma
circolare era coperto di carne di vitello dal taglio sottile, rosa ai bordi e
rossa e sanguinante al centro, coperta con fettine di limone.
‘Mangiamo’ disse il cavaliere, rompendo il
silenzio, e quelle furono le suo uniche parole. ‘Non posso’ dissi ‘sono troppo
stanca’ e appoggiando la testa sul gomito del braccio destro mi addormentai.
∞∞∞
Il giorno dopo mi
svegliai in una stanza degna di una principessa. Non avevo più la mia corazza ma
solo l’elmo. Che strano, pensai, forse la mia testa è ferita. Avevo appena
aperto le palpebre da cinque minuti quando tre donzelle entrarono in punta di
piedi. Una con una scodella d’acqua, l’altra con una bevanda calda e la terza
con un vestito di velluto verde.
‘Buondì’ dissero ‘Buondì’
risposi ‘Dov’è il mago?’ Le donzelle mi guardarono, sgranarono gli occhi, rispettivamente
neri, grigi e azzurri e non dissero nulla.
Dopo avermi lavata
in acqua di rosa e profumata con fiori di lavanda le tre donzelle andarono via.
‘Andate gentili donzelle’ dissi risoluta ‘mi vesto da sola.’ E detto ciò saltai
dentro la mia vecchia armatura: corazza, schiniere, bracciale, guanto d’arme ed
elmo, ed aperta la finestra scivolai tra le braccia dell’albero che mi aveva
teso la mano al mio arrivo.
Toccai terra con la
punta degli stivali, seguiti dal rumore dei tacchi sulla ghiaia, quando vidi il
cavaliere che veniva verso di me.
‘Dove vai?’ gridò
venendomi incontro e impugnando la spada che pendeva lungo la gamba destra.
‘Dal mago’ dissi impugnando la spada che pendeva lungo la gamba sinistra. ‘Dal
mago che aggiusta tutte le cose. Il mago che cambia il vento in soffio,
l’inverno in estate, gli uomini in rospi.
‘Codesto mago non
esiste’ disse il cavaliere sfoderando la spada. Anch’io sfoderai la mia e dissi
‘E’ sulle montagne.’ ‘Non c’è niente sulle montagne, lo avrei visto’
‘Non si fa vedere da tutti’ dissi fendendo il primo colpo. Aveva il polso
sottile e bianco, mi distrassi nel vederlo apparire tra il guanto e la manica.
Ed ecco che il
cavaliere sollevò la visiera e così parlò:
Voi che me destaste
amore, io ti vorrìa
Accanto a me
pulzella mia
Con teco il sole se
fa fuego e l’onda si calmìa
Dolce pulzella mia
Nessun se pode a te
paragonar su questa via
La spada nelle tue
mani un dardo divenìa
Te aspetto con
ardor pulzella mia
Ma ancora
distratta, sbilanciata e sorpresa la guerriera senza nome non riesce a fermare
la spada che era già partita a gran velocità nella direzione dello
sfortunato cavaliere.
Il sangue schizza,
la testa rotola, un rantolo di parole esce dalla testa mozza
‘Te aspetto con
ardor donzella miaaaa’
Come un disco rotto
il verso si spegne e muore. La guerriera spaventata sale sul cavallo e fugge all’impazzata
in cerca del mago.
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