Lo scoiattolo si svegliò e
guardò fuori dal buco-tana in cima all’albero.
Una distesa di verde si agitava come un mare sotto di lui con i rami che
facevano da onde. Non soffriva di vertigini ma ogni volta che guardava la
distesa verde che lo circondava gli sembrava l’oceano, un oceano di foglie,
cortecce, germogli, muschio. Questo era
il paradiso degli scoiattoli. Alberi altissimi, rami lunghi che si toccavano,
corridoi infiniti, passaggi segreti. Lo scoiattolo era il re del piccolo bosco,
saliva in cima agli alberi veloce e correva a precipizio come sulle montagne
russe.
Nel frattempo non lontano da lì...
Il pesce e il salice
Un pesce, stanco di
vivere in un fiume sporco e grigio si arrampicò
sopra un albero. Il pesce alzò lo sguardo, vide i rami di un salice che
sfioravano l’acqua e decise di arrampicarsi sull’albero. Le foglie erano
scivolose e il pesce rotolò giù un
paio di volte poi si arrotolò tra le fronde−come
avvolto nella carta−e si tirò su.
Lo scoiattolo lo vide da
lontano, arrivò a precipizio e si fermò davanti al pesce. ‘Tu non sei un uccello’ disse ‘Non hai
le ali e non puoi volare’ ‘Sono stanco di stare in acqua’ disse il pesce ‘e di
tutta la spazzatura che ci buttano. Ieri sono finito dentro una bottiglia di coca-cola,
ho viaggiato per ore come dentro un sottomarino.’ Il pesce si sdraiò stancamente
su un ramo lasciandosi bagnare dalla pioggia e dall’acqua del fiume. Qui starò
bene, pensò, posso guardare il fiume che scorre, le
nuvole che passano soffiate dal vento, il cielo che cambia colore.
‘Va bene, va bene’ disse
lo scoiattolo che aveva sempre fretta ‘ma non dimenticarti che questo è il paradiso
degli scoiattoli e se vuoi vivere qui dovrai imparare a mangiare noccioline’
‘Di noccioline ne ho
mangiate già tante’ rispose il pesce ‘e se a voi non
dispiace vedere un pesce su un albero sarò
felice di vivere qui. ‘Va bene’ ripetette lo
scoiattolo emettendo un colpetto di tosse, ehm, ehm. Tossiva sempre quando non
era proprio sicuro di qualcosa. Un pesce su un albero, pensò lo
scoiattolo, ne ho viste di belle nella mia vita saltellante−diceva
sempre così quando parlava in modo filosofico, la
mia vita saltellante di qua, la mia vita saltellante di là−ma un
pesce su un albero non l’avevo ancora visto. Lo scoiattolo non si avvicinava molto
all’acqua, anzi manteneva sempre le dovute distanze. Il salice era l’ultimo
albero nel paradiso degli scoiattoli e l’unico collegamento con il fiume.
‘Arrivo, montagne russe’
disse lo scoiattolo che si era già dimenticato del pesce e voleva tornare a
divertirsi come faceva sempre, su e giù per
gli alberi a velocità vertiginose, pronto ad afferrare
qualsiasi nocciolina nel raggio di due chilometri.
Nel frattempo non lontano da lì...
Antella la formica che voleva girare il mondo
Antella era una formica
pigra. Un giorno si allontanò dal monticello di sabbia sopra il quale le
formiche operaie trascinavano a fatica uno scarabeo ubriaco il cui destino era
di finire arrostito nel forno del formicaio o sgranocchiato vivo mentre cantava
la sua ultima canzone.
Antella si allontanò e si
distese dietro un filo d’erba con sopra una goccia di rugiada. La goccia le
scivolò lentamente in testa e Antella la bevette
tutta di un sorso. Lavoro, lavoro, che noia. Pensò
Antella, le formiche operaie non sapevano fare altro. Si alzavano alle cinque
ogni giorno e passavano il resto della giornata camminando su e giù
senza mai fermarsi, da una zolla all’altra, avanti e indietro sul cemento,
rischiando la loro vita ogni giorno. Non voglio essere schiacciata da un paio
di scarpe Prada. Voglio girare il mondo−pensò
Antella−e andare dove nessuna formica è mai
stata prima. Voglio prendere la
metropolitana e vedere la città. Cosi un giorno si aggrappò con
le sue sei gambette alla scarpa di un passante che faceva parte della solita
carovana giornaliera di gente. Uno dei tanti salariati-schiavi che andavano e
venivano in massa ogni giorno con gli occhi vitrei fissi nel nulla o inchiodati
al loro cellulare, e con in mano tazze di starbucks sempre più grandi
e ore di sonno sempre più corte.
Antella si fece strada
sulla pelle lucida e scivolosa e infilando le zampe tra le cuciture si tirò su e
si distese sul nodo della stringa. Era arrivata in metropolitana. Quante scarpe
di tutti i tipi! Basse, alte, con i tacchi a spillo. ‘Ora provo le trainers’ disse
Antella, e velocemente si allungò in avanti e poggiò le zampe
anteriori sulla scarpa accanto. Erano trainers arancioni, così morbide
e piene di buchini piccoli piccoli come il buco di una puntina da disegno, era
come stare su in materasso in memory foam. Doveva solo stare attenta a non
cadere o sarebbe stata schiacciata, senza troppi complimenti, da questo millepiedi
umano. Forse sarei più sicura dentro una borsa, pensò
Antella, che cominciava ad avere un po’ di fame. Accanto alle trainers c’era un
sacchetto di plastica e l’odore di biscotti prometteva bene. Antella si
arrampicò sino ad arrivare sul bordo e poi
ridiscese cautamente. Il sacchetto era pieno di montagne di plastica
trasparente, dentro le montagne poteva vedere delle fragole enormi e poi
salendo ancora un po’ vide un’altra montagna con dentro un bellissimo cupcake
ricoperto di yogurt color mirtillo. Sembrava di essere sopra un iceberg in cui
qualcuno aveva sepolto un intero supermercato. Ottima cura per l’obesità,
pensò Antella, che si immaginava questo
supermercato pieno di roba in cui tutto era incastonato dentro il ghiaccio e dove
potevi solo guardare ma non toccare. Un museo della dieta. Assorta nei suoi
pensieri Antella sentì d’improvviso uno strattone, poi la borsa
cominciò a traballare ferocemente senza sosta per
una eternità e infine un tuffo nel buio. ‘Aiuto.
Aiuto. Dove sono?’ gridò Antella ‘Ahi! Che male. Ho una zampina
schiacciata dall’iceberg di fragole. Povera me, povera me. E’ tutto nero, non
vedo nulla. Ahi! Cosa succede?’ Ed ecco arrivare una tazza in polipropilene con
dentro una sigaretta spenta. ‘Voglio, uscire, non mi piace il tabacco. Che
schifo!’ Antella confusa, dolorante e spaventata scoppiò a
piangere. Come tutti sanno quando le formiche piangono emettono una melodia
simile al Bolero di Ravel.
Il pesce che stanco delle
chiacchiere dello scoiattolo si era assopito sull’albero aprì le
palpebre pesanti e guardò con i suoi inespressivi occhi da pesce da
dove venisse quel suono, ma prima di decidere sul da farsi con la sua lentezza
da pesce fuor d’acqua si mise a dondolare la testa e la coda a destra e a
sinistra al ritmo della melodia. ‘Mi piace’ disse ‘sarà
forse la sveglia del paradiso degli scoiattoli?’
‘Aiuto. Aiuto’ disse una
vocina tra una nota di sassofono e l’altra. ‘Aiutooh. Aiutoooh’ ripetette il pesce. Antella tra i singhiozzi era riuscita a
liberare la zampina dalla plastica che la intrappolava. Muovendosi a tentoni,
cominciò a girare a circolo vizioso tra carta, plastica, pozzanghere di caffè,
docce di birra e mozziconi di sigarette. Una pizza margherita la fece scivolare
sulla mozzarella fredda del giorno prima come su una pista di ghiaccio. Alla
fine, senza sapere come, Antella riuscì ad uscire da quella pattumiera con lo
stomaco pieno, mezza ubriaca e intossicata di fumo. Con le antenne che le
tremavano, inzuppata e puzzolente, Antella si sedette sul metallo freddo e una
lacrima le uscì lenta dai grandi occhi protuberanti. ‘Volevo vedere la città’
sussurrò Antea ‘ed eccomi qui sopra il cestino dei rifiuti, sporca e mezz’avvelenata.’
Attraverso le lacrime Antella vide qualcosa muoversi sull’albero, sembrava una
coda, la coda di un pesce e due occhi spenti che la guardavano. Trasalì e il
suo corpo tremò. Gli occhi erano fissi su di lei ma la coda e la testa si
muovevano, poi anche la bocca cominciò lentamente ad aprirsi. ‘Oddio una
balena’ disse Antella.
‘Baahlenaah. Noooh, noooh’ disse il pesce ‘sono
un semplice pesce di fiume’ ‘Cosa ci fai sull’albero?’ disse Antella che per un
momento aveva dimenticato tutti i suoi problemi. ‘Volevo cambiare aria. Ah, ah,
ah, perdonami il gioco di parole’ disse il pesce senza boccheggiare. Forse si
stava abituando all’aria di città. ‘E lei signora cosa fa qui? Sentivo che piangeva,
anche se, devo dire, il suono era delizioso e non mi dispiacerebbe affatto riascoltarlo.
Il Bolero di Ravel. Che figata!’ Il pesce si meravigliò del suo stesso
linguaggio, erano passate solo un paio d’ore da quando aveva lasciato l’acqua e
si sentiva già un altro. Che strano
effetto fa la città, pensò.
‘Volevo vedere Londra’ rispose Antella
tristemente ‘tutto qua’
‘Suuh, suuh’ disse il pesce che aveva
ricominciato a boccheggiare ‘non è certo la fine del mondo’ e con la coda
spinse le fronde del salice verso il cestino dei rifiuti e Antella come Tarzan vi
si aggrappò urlando. Come in un flash, il cielo, il fiume, gli alberi e i
pedoni le passarono davanti. Dopo questo volo nella jungla si trovò sull’albero
e gli occhi grandi del pesce erano diventati due enormi schermi giganti su cui
si rifletteva tutta la città. ‘Da qui potrai vedere tutto’ disse il pesce
soddisfatto. ‘Dopotutto questo è il paradiso degli scoiattoli’
‘Il paradiso di che…?’ ma Antella non riuscì a
finire la frase. Preceduto da una folata di vento ecco arrivare lo scoiattolo.
‘Mi chiami scogatto’
disse lo scoiattolo con grande prosopopea.
Cheeeh vuooohl dire? Disse
il pesce che ad ogni ‘o’ ed ‘a’ boccheggiava per prendere aria.. ‘Ora mi dhaaai
del…’ ‘Sì, sì’ lo
interruppe impaziente lo scoiattolo che non aveva mai un minuto da perdere ‘ti
do del Lei ed esigo che ti rivolgi a me con il titolo di Scogatto. ‘Ma ora mi
haaai dhaato del tu’ disse lentamente il pesce. ‘Sì, ti
ho dato del tu’ disse arrabbiato lo scoiattolo ‘Sei tu che devi darmi del Lei.
Questo è il paradiso degli scoiattoli dopotutto’ Questo
scoiattolo mi sembra un po’ fuori, pensò il
pesce. Che noccioline mangerà mai?
‘Lo Scogatto è un
incrocio tra uno scoiattolo e un gatto e si trova sullo stemma di famiglia del
Signore del paradiso degli scoiattoli. Hai capito? Sardina’ Disse tuttod’unfiato lo scoiattolo. ‘Non sono
una sardina, signooohr Scooohgaaatooh. Sono un pesce di fiume’ ‘Fiume, mare, è tutta
acqua per me e non mi piace’ rispose lo scoiattolo ‘L’acqua bagna. Sai che bevo
io? Coca’ ‘L’avevo immaginato’ disse il pesce senza boccheggiare. ‘La trovo
sulle panchine, nel nostro paradiso c’è
tutto, per gli scoiattoli ovviamente. Se vuoi rimanere qua sull’albero devi
chiamarmi Scogatto e darmi del Lei. Va bene? Squalo’ ‘Ed io che pensavo sarei
stato meglio fuori dall’acqua’ disse il pesce tra se e se. ‘ma perché
Scogattooh’ chiese il pesce. ‘Perché ho gli artigli, triglia. ‘Siamo
d’accordo?’ Disse lo scoiattolo ‘ora devo andare c’è la bambina
del signore del paradiso degli scoiattoli che mi aspetta. Arvoir anguilla.’
‘Chi era quello?’ disse
Antella che era rimasta a bocca spalancata tutto questo tempo. ‘Solo uno
scoiattolo che pensa di essere una gatto’ disse il pesce placidamente ‘Benvenuta
a Londra, Antella’
Il pesce fece un sospiro
e si distese su un fianco, era il tramonto e la città
cominciava a popolarsi di gente, masse e masse di gente in fuga, traboccavano
da ogni orifizio della città. Gli edifici vomitavano dalle loro uscite
uomini e donne di ogni tipo e specie. Il cielo cominciò a
riempirsi di scintille elettriche, erano le risate degli esseri in fuga che
come lucciole illuminavano l’aria a distanza.
Nel frattempo non lontano da lì…
c’era una finestra e
dietro la finestra una stanza e dentro la stanza una bambina.
La figlia del Signore del
paradiso degli scoiattoli allungò le noccioline dentro il guscio di
arachide sul davanzale della finestra.
Le mise in fila dietro ad un pistacchio di Bronte, una noce di Sorrento ed una mandorla di
Avola. Sarebbero bastate? Lo Scoiattolo era diventato sempre più
affamato ed esigente ultimamente. Da quando gli erano cresciuti gli artigli
bisognava stare più attenti, non rosicchiava più le
noci di macadamia ma le tagliava a fette e le metteva dentro i sandwich che
trovava nel parco. Aveva anche imparato a mangiare formaggio e qualche fettina
di salame. Li chiamava formaggio cocktail party, un cubetto per ogni artiglio.
Tra poco sarebbe venuto a fare piazza pulita di tutte le noci, nocciole e
noccioline. Però arrivava quasi sempre sazio e a volte
anche un po’ ubriaco. La bambina lo aveva visto trasformarsi davanti ai suoi
occhi da normale scoiattolo pauroso e cauto a re del paradiso, sicuro di se,
spavaldo e un po’ fuori. Poi, un giorno, aveva visto che gli erano cresciuti
gli artigli come lo Scogatto dello stemma di famiglia sul muro frontale della
casa. Lo Scogatto era un animale immaginario, mezzo gatto e mezzo scoiattolo.
Agile come un gatto e veloce come uno scoiattolo; pigro come un gatto e allegro
come uno scoiattolo; altezzoso come un gatto e socievole come uno scoiattolo.
Possedeva tutte le migliori qualità dell’uno e dell’altro ma anche tutti i
difetti. La bambina si era affezionata a lui e lo viziava in mille modi. Da
qualche settimana a questa parte, quando veniva a trovarla, voleva trovare il
tè in una tazza di porcellana, e guai se non era darjeeling. La bambina prese
il piccolo ditale di porcellana bianca e ci versò un
po’ di tè dalla sua tazza. Eccolo che arriva, disse la bambina.
‘C’è un
pesce sul salice’ disse lo scoiattolo riempiendosi le guance di noccioline. ‘Non
mangiare così in fretta’ disse la bambina ‘ti fa male.
Guarda che pancia. Cosa hai mangiato oggi? Junk food, immagino. Ti ucciderà. Mio
piccolo amico rilassati, lasciali stare i gatti. Hai una ammirazione esagerata
per loro. Sono animali pigri ed egoisti anche se sono così
deliziosi, riesco a perdonargli tutto, anche i piccioni morti sotto il letto’
La bambina si ricompose ma ormai era inutile parlare male dei gatti, non ci
avrebbe creduto più nessuno.
‘Appunto, appunto’ disse
lo scoiattolo ‘essere pigri ed egoisti, proprio quello a cui aspiro.’ ‘Mio caro
scogatto, cosa ti è successo? Eri un piccolo, dolce
scoiattolo quando ti ho conosciuto’ ‘Scogatto, prego. Non posso neanche
sentirlo quel nome. Mi fa rabbrividire. Pensa che allora non avevo mai
assaggiato una fettina di formaggio. Ma grazie alle specie in evoluzione ora è
tutta un’altra cosa, mia carissima amica’ ‘Mi piaci quando sei gentile. Cosa mi
dicevi del pesce?’
‘c’è un
pesce sul salice da stamattina’ ‘un pesce?’ disse la bambina ‘come si chiama?’
‘Si chiama triglia’ La bambina rise, il suo scoiattolo era proprio simpatico
anche se era un po’ birichino, leggermente alcolizzato e mangiava funghi magici
la domenica.
‘Sono molto preoccupata’
disse la bambina cambiando espressione ‘è da
un po’ che volevo parlartene ma tu vai sempre di fretta ultimamente’
‘Cosa c’è? Carissima amica’ disse lo scoiattolo che amava molto
la bambina e dopo un paio di minuti con lei si trasformava in un animale di
peluche.
‘C’è che…temo che prima o dopo farò cadere la
luna’ disse la bambina con la voce tremolante. Lo scoiattolo la guardò con i
suoi grandi occhi marroni e tossì, ehm, ehm. Aveva indossato i suoi abiti da filosofo.
‘La luna è fatta per cadere altrimenti non sarebbe sospesa in aria’ rise e
gonfiò il petto, orgoglioso di tanta allegra saggezza.
‘Caro Scogatto, sarebbe una vera catastrofe.’ Lo
scoiattolo ricominciò a mangiare noccioline e a bere il tè in silenzio. Intanto
il buio scendeva e i due amici si salutarono. ‘A domani’ disse lo scoiattolo
‘dormi bene’ disse la bambina.
Ogni sera la bambina e il signore del paradiso
degli scoiattoli guardavano la luna con un lungo telescopio. Attraverso le
lenti la luna era così vicina che la si poteva toccare con un dito, e se poi fosse caduta sulla sua
casa e sul mondo intero? Pensava la bambina.
Anche quella sera la
bambina e il signore del paradiso degli scoiattoli guardarono la luna e la
bambina la toccò.
Quella notte la luna
cadde e avvolse in una nuvola di polvere il fiume con i suoi pesci e le lattine
di birra, il parco con i suoi scoiattoli e le lattine di coca. Tutto divenne
bianco e impolverato, coperto da una polvere sottile. Dalla cima di un albero si
sentì un sussulto, poi si videro due occhi marroni
spalancati e una voce che diceva ‘Wow! Che figo’.
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