Caltagirone è un’incantevole cittadina
in cima ad una collina alta quasi come una montagna. Nel punto più elevato
della città, in cima alla scalinata di Santa Maria del Monte, (foto) si toccano i 610 metri sul livello del mare (ma
secondo la Treccani sono solo 608). Altri 2 metri e sarebbe stata montagna, ma
purtroppo così volle la sorte e i movimenti geologici delle falde terrestri. Secondo l’Oxford English Dictionary una montagna è considerata
tale se supera i 610 m. Tuttavia, in Scozia c’è una certa indifferenza per
quanto riguarda le dimensioni delle cime tempestose, che vengono tutte chiamate
indifferentemente “hills”, cioè colline. In Galles la differenza tra colline e
montagne non è determinata dall’altezza ma dalla loro apparenza e dall’uso che
se ne fa. Questa precisazione è di
rigore se vogliamo confrontarci con paesi e culture diverse e il loro rapporto
con le altitudini.
La Collina, tuttavia, ha un qualcosa di
dolce nel suono e nel paesaggio. Mentre la montagna è dura e fredda la collina è
morbida, sinuosa, e romantica. Se poi su queste cime collinose si spruzza un
po’ di nebbia, ecco il ritratto completo della mia città in tutta la sua bellezza.
E’ vero che l’umido entra nelle ossa, ma chi rinuncerebbe mai a questa coltre
pallida e nebulosa (come polvere di stelle) che ti avvolge e ti nasconde come
un personaggio misterioso in un film di Hitchcock?
Prima di entrare in città voleremo tra
le valli e i fiumi scomparsi chiamandoli per nome. Nomi dimenticati da tutti ma
ancora impressi sulle vecchie mappe in inchiostro antico e consunto. Ubicata
tra i monti Erei e i monti Iblei vicino al fiume a cui dà il nome. Lo sapevate
che c’era un fiume? Deve essere assai piccolo e insignificante −dal momento che
io non l’ho mai visto− ma pur sempre un fiume è. Ed io che pensavo che solo le
grandi capitali, come Parigi e Londra, avessero i fiumi. (Non appena lo troverò
ne farò una descrizione. Se lo trovate prima di me, per favore, mandatemi una
descrizione o foto da inserire)
La cima del colle scivola verso il basso,
spianandosi solo per un breve tratto per
poi ridiscendere nuovamente sino in fondo al viale Milazzo ed oltre, dove si
trova la parte nuova della città. Un bosco trasformato in parco, che conserva
ancora le sembianze selvatiche della
vecchia foresta, specialmente ora che è quasi abbandonato a se stesso −frequentato
solo dai giovani ragazzi che fuggono dal continente nero in cerca di lavoro ed
una vita migliore− costeggia la Via Roma, la strada che unisce il vecchio colle
al resto della città.
Questo è quello che vedrebbe un’aquila
spiccando il volo dai tetti di Sant’Agostino, l’edificio che si trova in cima a
Santa Maria del Monte −non parlo di un’aquila qualsiasi ma di quella sullo stemma
della città − oltrepassando le due piazze, con il municipio da un lato e il
vecchio Banco di Sicilia dall’altro, per poi sorvolare sul vecchio Carcere Borbonico,
ora museo, e il tenero ponticello di San Francesco, (foto)
sospeso tra le nuvole, che collega il colle con il resto della città. Senza
questo ponte incastonato con mattonelle di ceramica colorata verde, gialla, e
blu ogni accesso all’antico borgo sarebbe impossibile, ed una profonda vorace
inghiottirebbe qualsiasi viaggiatore, tranne i più intrepidi disposti a planare
oltre il palazzo blasonato di Sant’Elia (foto) o
a camminare sulla fune per raggiungere il centro. Continuando il nostro viaggio
cammineremo lungo la via Roma, il viale che affianca la villa comunale, e poi
proseguiremo sul Viale Principessa Maria,
che ha come scenario naturale una valle di cui sconosco il nome ma che regala
sempre i più bei tramonti estivi di cielo rosso fuoco striato di nuvole rosa, e
conosciuto anche con il nome di Viale del Tramonto. (foto) Come ho già detto, la cima del monte è coperta dal tetro e severo edificio di Sant’Agostino, un bel palazzo imponente che mette paura ai bambini per le mura spesse e scure e i portoni bardati di ferro. Ed è proprio per questo che una volta lì si trovava l’orfanotrofio che accoglieva sia i bambini orfani che quelli caduti in disgrazia e considerati irrecuperabili dalle loro famiglie. L’imponente edificio è composto di tre piani. Ci sono 12 finestre e due balconi sul lato che dà a ponente e 18 finestre e due balconi sulla parte frontale dell’edificio. (foto) Ormai questo vecchio e misterioso palazzo è chiuso e cadente; forse anche pericolante. Popolato probabilmente solo da topi coraggiosi e da gatti curiosi.
A Caltagirone la storia dell’architettura
non interessa molto, forse perché fu rasa al suolo nel 1693 in seguito ad un
terremoto e da quel momento ci si aspetta che scompaia da un momento all’altro
sotto una coltre di polvere. Quindi a che serve preservare gli edifici e farne
conoscere la storia? Ma per i miei lettori sono disposta a trascorrere lunghe
notti a lume di candela nella biblioteca comunale per fare luce sulla nostra
storia.
I saraceni le diedero il nome di Qal
‛at alghīrān («Castello delle grotte», così dice sempre la Treccani. Come succede
con il telegrafo senza fili, con il susseguirsi di lingue e popolazioni si è
pervenuti all’attuale nome Qal
‛at alghīrāne (basta leggere le lettere in nero) ed ecco Caltagirone.
(continua)
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