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È da un po’ che non scrivo su queste pagine. Collaboro da sei anni con un blog letterario, ma ultimamente ho sentito l’esigenza di avere qualcosa tutta mia. Uno spazio dove lasciar navigare le idee e le evoluzioni del mio percorso.
Da dove comincio? Rifacendomi alle tradizioni epistolari potrei iniziare con ‘Caro diario’ o ‘Cari lettori’. La mia tendenza all’interiorizzazione mi ha sempre fatto apprezzare i diari, specialmente di donne, forse quelli di uomini sono anche abbastanza rari. Un intimismo, quello dei diari e della letteratura epistolare, certamente più consono al genere femminile. Forme letterarie in cui ci siamo spesso rifugiate nel corso della nostra storia di ribellione e conquista di uno spazio nel mondo.
Chi cerca di comunicare lo fa per un motivo preciso, come Atulya Bingh
am che ha trascorso 5 anni tra le colline turche, e che nel suo libro [Mud Mountains: Five years in a mud house lost in the Turkish hills] racconta la sua esperienza. Io non ho fatto niente di così estremo. Mi sarebbe piaciuto ma il lavoro e la paura me lo hanno sempre impedito. Tuttavia, anche io ho qualcosa da raccontare: ho appena trascorso quasi un anno in Sicilia dopo 35 anni di vita in Gran Bretagna. Vi sembra poco? E neanche a farlo apposta anche io mi trovo tra le colline.
Sono arrivata qui lo scorso agosto, durante la pandemia e il lockdown, pensando che fosse un buona idea lasciare Londra per un po’ e trascorrere qualche mese nella mia città natia. Lavorare da remoto ha reso possibile un sogno a cui anelavo da tempo. Come la pandemia abbia cambiato le condizioni lavorative in meglio, per alcuni di noi, ed in peggio per altri, è qualcosa su cui riflettere. Dopo nove mesi di permanenza nella terra dei miei avi, l’idea di andare su e giù per Londra, nel circuito chiuso di casa & lavoro, mi mette i brividi e mi fa sussultare. Com’è bello essere liberi! Niente metro, niente file, niente autobus affollati, e niente pioggia. Qualcosa sta cominciando a cambiare.
Certo anche qui piove ma solo quel poco che basta per far crescere le verdure, la frutta e fare uscire le lumache. l sole fa il resto, facendo maturare i pomodori e le arance, le angurie e i limoni. Per una che, come me, ha passato 35 anni all’ombra questo luogo ha il sentore del paradiso. Con l’azzurro e il sole ti entra dentro anche qualcos’altro ma non so cosa sia. Una specie di soffio che ti percorre da cima a fondo. Arriva con il cinguettio degli uccelli e sulle ali delle farfalle, poi si posa su di te, o ti entra nelle narici, e giorno dopo giorno qualcosa cambia.
Ti cominci a chiedere ma perché lavorare tanto? Ma perché vivere tra la folla che aumenta sempre e ti circonda amorosamente mentre viaggi ergendoti su un piede, perché per l’altro non c’è spazio, mentre vai da una fermata all’altra, sino a che esausta scendi dall’autobus e la pioggia ti accoglie con una doccia fredda. Perché pagare un limone mezza sterlina, e se è biologico una sterlina, quando nel giardino li lasciamo appassire? Forse il mio problema è la facile adattabilità, mi trovo bene quasi dovunque.
Mi è sempre piaciuta l’idea di andare in vacanza e rimanerci intrappolata per quasi un anno. Ed è proprio quello che mi è successo. Quello che mi piace della pandemia (escludendo il virus, ovviamente) è che tutto ciò che prima era molto improbabile è diventato possibile. È la prima volta, nella nostra vita, in cui viene ribaltato tutto, e tutte le certezze in cui sinora abbiamo creduto non valgono più nulla. Trovo questa nuova realtà molto eccitante. Mettere tutto in discussione è il modo migliore per sanare le cose che non vanno.
Ho però cattive notizie, sembra che a Londra, dove è stato dato il via libera, tutto è tornato come prima. Perlomeno queste sono le apparenze. Per sapere davvero cosa è cambiato nelle abitudini della gente dobbiamo aspettare un po’, e vedere se le statistiche ci daranno una immagine diversa. Si tornerà a consumare come prima? Si spenderà tanto nei ristoranti? Si viaggerà nei luoghi lontani?
Io ho fatto una timida lista dei miei progetti.
Come prima cosa NON voglio più tornare in aula ma voglio continuare a lavorare in remoto. Di conseguenza NON voglio più viaggiare su metro e autobus 5 giorni su 7 per motivi di lavoro, ma voglio spostarmi solamente durante il weekend per motivi di svago: andare ai musei, al cinema, vedere amici, ecc.
Inoltre, NON ho più intenzione di spendere milioni nei ristoranti di Londra in cui un’oliva te la fanno pagare cinque sterline…si fa per dire, ma ci sono vicina.
Sono solo i primi cambiamenti ma l’impatto sulla mia vita sarebbe enorme. Ci riuscirò? La paura mi stringe la gola. Lo spero.
Vi chiederete perché nel titolo abbia usato la parola identità se non ne parlo per niente. La risposta è che ancora non ci sono arrivata. Questa è solo la premessa. È solo l’inizio del mio percorso identitario. E poi identità è una parola talmente grossa. Nessuno ha una identità sino a quando vive nel posto in cui è nato. Tuttalpiù ha un carattere o delle caratteristiche che lo rendono benvoluto da amici e parenti, o antipatico a tutti. Ma finisce qui. L’identità nasce nel momento in cui lasci casa, la culla, il cielo sotto cui sei cresciuto e ti sposti geograficamente in territori sconosciuti.
Questo è tutto per oggi. Mentre rifletto su quello che seguirà nel prossimo post vorrei conoscere i vostri progetti. Come cambierà la vostra vita dopo la pandemia? Tornerà tutto come prima o avete anche voi intenzione di apportare dei cambiamenti decisivi alla vostra esistenza?
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